martedì 26 gennaio 2010

In Africa prima e dopo Mussolini

Marco Iacona, per le edizioni Solfanelli, narra la politica coloniale del Regno d’Italia dal 1882 al 1922

Perché l’Italia per circa 80 anni è stata ossessionata dalla conquista dell’Africa? E il colonizzatore Mussolini fu davvero più crudele dei liberaldemocratici che lo avevano preceduto al governo del Regno? A rispondere a queste domande Marco Iacona, in un breve saggio dal titolo: La politica coloniale del Regno d’Italia dal 1882 al 1922, edito da Solfanelli, collana Saperi, costo 8 euro, che fa luce sulla storia del colonialismo italiano nel Continente Nero.
No, Mussolini non fu più crudele dei liberaldemocratici, anzi non fece che ereditate metodi di “conquista” già largamente perpetuati dai colleghi. Anzi, quando Mussolini arrivò sul territorio africano l’Italia aveva si e no “due brandelli di terra” in cui vigeva lo stato di guerra perpetuo, il Duce ne fece delle colonie a tutti gli effetti. Ma perché gli italiani o meglio il Regno d’Italia decise di colonizzare l’Africa?
Semplice, i principi colonizzatori del periodo 1880-1900 facevano seguito a un bagaglio culturale di antica data: missione civilizzatrice di stampo mazziniano, guerra come catarsi dei popoli, eredità romana. A questi principi vanno poi aggiunte le mire commerciali e i fenomeni migratori. Il Sud, è quello più coinvolto, in quel periodo, ogni anno, lasciavano l’Abruzzo, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia 150.000 persone. Per loro si voleva trovare delle terre, un’estensione del teritorio italiano in Africa. Infine, non vanno trascurati i rapporti politici internazionali. Durante il Congresso di Berlino del 1878 l’Italia si accorge di essere fuori dallo scacchiere internazionale, perde la possibilità di conquistare la Tunisia, Paese che il Regno considerava già sua derivazione per motivi commerciali e che finirà in mani francesi. L’Italia dunque vorrebbe cimentarsi nella conquista del nord Africa ma per motivi politici è costretta a virare sull’Africa orientale: Eritrea, Etiopia, Somalia.
Dal 5 luglio 1882, data di inaugurazione della prima colonia ad Assab, sul Mar Rosso, fino alla clamorosa asconfitta di Adua del 1896 Crispi sogna di attuare il suo progetto politico di espansione in Africa. Fallito questo tentativo il desidero colonizzare ritorna agli inizi del Novecento con i nazionalisti, tra questi alcuni protagonisti della futura impresa libica: Carducci, D’Annunzio, Oriani e Corradini. Nel frattempo l’antico nemico francese diventa alleato. Nel 1906 l’Italia stipula con Francia e Inghilterra un accordo di influenza economica in Africa orientale. La Penisola mantiene il controllo sulla Somalia e l’Eritrea. Il sogno di un paradiso africano per i senza lavoro italiani viene nuovamente alimentato dai nazionalisti e dall’impresa di Libia. Protagonista questa volta è Giovanni Giolitti. Mentre in Patria si afferma di aver assoggettato la Libia, nel Paese nord africano si assiste a una carneficina che per l’Italia si trasformerà il 15 aprile 1915 a Gasar Bu Hadi in una seconda Adua. All’insorgere della marcia su Roma gli italiani in Africa avevano mostrato tutto di sé, la loro bellezza e la loro bruttezza.

Anna Lotti

http://www.lineaquotidiano.net/node/9499



mercoledì 30 dicembre 2009

I "Gesuiti" di Brienza alla Stanford University (California)

La Stanford University (California) ha acquistato per la propria biblioteca e reso consultabile nel suo catalogo on line (http://searchworks.stanford.edu/view/7188397) il saggio I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848 di Giuseppe Brienza, considerandolo una significativa testimonianza della storia politica ed ecclesiastica del XIX secolo. E' presente nella sezione "Italia - Storia - 1815-1870".

I "Gesuiti" di Brienza alla Stanford University (California)

La Stanford University (California) ha acquistato per la propria biblioteca e reso consultabile nel suo catalogo on line (http://searchworks.stanford.edu/view/7188397) il saggio I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848 di Giuseppe Brienza, considerandolo una significativa testimonianza della storia politica ed ecclesiastica del XIX secolo. E' presente nella sezione "Italia - Storia - 1815-1870".

giovedì 24 dicembre 2009

RECENSIONE di Piero Vassallo

Costituito come avanguardia futurista, in sintonia con il pensiero moderno, il movimento fascista, salendo al potere, incontrò le radici della sua più vera identità nelle ragioni indeclinabili, che oppongono la fede cristiana alle utopie rivoluzionarie.

L’evoluzione religiosa del fascismo iniziò nel dicembre del 1922, quando Arnaldo Mussolini, resosi conto che la religione è l’insostituibile cardine dell’ordine civile, convinse il fratello ad iniziare un autentico cammino di conversione.

Nel dicembre del 1922 la marcia d’avvicinamento alla cristianità subì una forte accelerazione: Benito Mussolini, infatti, approvò la proposta del filosofo Francesco Orestano, che immediatamente diede inizio alla trattativa con la Santa Sede , intesa a “restituire l’Italia a Cristo e Cristo all’Italia”.

Il successo conseguito dal governo italiano nella faticosa costruzione dell’accordo tra Italia fascista e Vaticano, destò una tale ammirazione da causare un profondo cambiamento nella strategia dei nazionalisti e da avviare la collocazione a destra di importanti settori del popolarismo cristiano.

La politica culturale del fascismo fu adottata (con alcune varianti) da tutti i partiti della destra europea, che in tal modo si emancipò dalle filosofie di matrice illuministica.

Il modello fascista, peraltro, non fu imitato dalle sole forze di destra: vasti settori dei partiti cattolici, infatti, presero le distanze dal democratismo modernistico e si collocarono nell’area della cultura rinnovata da Mussolini.

Nell’orbita del fascismo entrarono i più qualificati esponenti dell'Action française, della Falange ispanica, della destra austriaca, ungherese e belga, e del conservatorismo cristiano-ortodosso di Romania.

Nella sfera dell’influenza fascista si collocarono anche numerosi autorevoli esponenti dello Zentrum cattolico tedesco, ad esempio Anton Hilckman e Georg Moenius, direttore, quest'ultimo, della "Allgmeine Rundschau" e capofila degli oppositori al nazismo.

Nelle pagine di "Antieuropa", la rivista fondata e diretta da Gravelli e finanziata dal governo fascista, gli esponenti dello Zentrum formulavano, in durissimi giudizi sul nazismo, colpevole di "far rivivere i sinistri miti del wotanismo", di essere "l'espressione della perenne antilatinità e antiromanità", e di contorcersi nella grottesca rappresentazione di "una forma sublimata di talmudismo"

Purtroppo la pagina di storia che fu scritta dai protagonisti della svolta religiosa compiuta dalle destre cristiane, è nascosta dal bianchetto versato dalla tracotanza storiografica delle sinistre e dal conformismo dei democristiani.

La verità storica, tuttavia, è stata conservata da alcuni animosi revisionisti, ad esempio Ennio Innocenti, Fausto Belfiori, Luigi Gagliardi, Davide Sabatini, Guido Mussolini, Fabio Andriola e Paolo Rizza, i quali hanno dimostrato l’esistenza (nel cuore del partito fascista) di una comunità ideale, fondata per unire le forze dell’Europa tradizionale nella costruzione di un argine ai contrapposti errori intitolati alla sovversione.

Secondo Paolo Rizza, il movimento fondato da Corneliu Zelea Codreanu nel 1927, era animato dall’aspirazione “a creare un modello antropologico animato da una sincera e non convenzionale adesione alle tradizioni del proprio popolo, e da un altrettanto deciso rifiuto della mentalità borghese e materialistica veicolata da ideologie totalmente e radicalmente difformi dalla fede cristiana” (pag. 24).

Storico controcorrente, Paolo Rizza ha interpretato la vicenda della Legione romena di San Michele Arcangelo alla luce della proibita verità sulla convergenza di politica d’ispirazione fascista e ideali cristiani.

L’indagine del giovane e sagace studioso ha poi ristabilito la verità sull’opposizione della destra fascista di Romania al razzismo tedesco: “Risulta agevolmente comprensibile che il concepire la nazione quale patrimonio di valori spirituali destinati ad informare le varie manifestazioni della vita civile di un popolo, è privo di qualunque riferimento ai deleteri presupposti del razzismo biologico, proprio del nazionalsocialismo tedesco” (pag. 25). L’antisemitismo hitleriano fu invece condiviso dal partito dei conservatori, da cui Codreanu si era separato prima di fondare il movimento legionario.

Interpretata con il rigore di cui si è dimostrato capace Paolo Rizza, l’esemplare vicenda dei legionari romeni aggiunge un prezioso tassello alla documentazione degli storici che sostengono la necessità di sciogliere finalmente il plesso nazifascismo e di riconoscere l’attualità della filosofia politica elaborata all’interno di una fra le più vivaci correnti intellettuali del Novecento.

Piero Vassallo

http://lariscossacristiana-libri.blogspot.com/2009/12/paolo-rizza-guardia-di-ferro-la-legione.html

domenica 15 novembre 2009

RECENSIONE di Enzo Natta

Era o non era nazista? O perlomeno poteva essere coinvolta in quella responsabilità collettiva di cui fu accusato tutto il popolo tedesco dopo la seconda guerra mondiale?
Negli ultimi anni della sua vita Leni Riefensthal aveva sempre sostenuto di essersi distaccata dal nazionalsocialismo a mano a mano che prendeva coscienza del baratro nel quale stava scivolando la Germania.
Di questo personaggio tanto discusso (autore di famosi documentari come Il trionfo della volontà e Olimpia) il libro in questione fornisce una serie di documenti storici di straordinaria rilevanza: venti incontri con Hitler e uno con Mussolini in cui l’autrice del Trionfo della volontà e di Olimpia riporta il testo delle conversazioni. In cui si parla di cinema, del suo lavoro, degli impegni che l’attendono, ma anche del futuro della Germania e della scarsa affidabilità degli italiani. E di una proposta da parte di Mussolini di girare un documentario sulle paludi Pontine.

http://inscenaonline.altervista.org/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=34&Itemid=54


giovedì 12 novembre 2009

RECENSIONE di Marco Iacona ("Linea", 12 novembre 2009)

Esistono due modelli di interpretazione circa le vicende di Corneliu Zelea Codreanu, leggendario legionario rumeno, attivo fra le due guerre mondiali. Il primo è l’assoluto (spesso isterico) rifiuto di un piccolo Hitler rumeno, il secondo è la glorificazione del grande e bel personaggio tutto onore e fedeltà, scomodo perfino agli alleati. Un libro appena edito da Solfanelli – per la collana Saperi storia (Paolo Rizza, Guardia di ferro, 2009; pp. 64 euro 7.00) – ci consegna invece un Codreanu più di sostanza, a metà fra fede e idealità, fautore di un antirazionalismo fattivo – fondato su un cristianesimo “eroico” di disciplina e preghiera – e non solo di protesta o uomo-immagine; una figura singolare, la cui tragicità è specchio di un periodo nel quale i fascismi giocarono partite destinate a influire sulla fortuna dei popoli e sulle scelte dei governanti. Non un personaggio da poco, insomma al quale sembra opportuno non operare né sconti né regali. Un bravo allora a Rizza che svela, fin dall’inizio, quale parere intende accordare circa il fondatore della “Legione dell’Arcangelo Michele” (1927) e della successiva Guardia di ferro (1930): «La dichiarata avversione al comune retroterra razionalistico e anticristiano della democrazia, del liberalismo e del socialismo, costituisce dunque il tratto più facilmente individuabile del movimento guardista di Codreanu, al quale sarebbe però limitativo attribuire una connotazione esclusivamente politica; esso infatti aspirava costantemente a trarre il senso più intimo della sua presenza dal patrimonio spirituale di una tradizione storicamente incarnatasi nella fede cristiana, intesa da Codreanu come la sola prospettiva capace di garantire una vera rinascita spirituale e civile della Romania». E anche se l’autore non lo scrive, è questo il limite maggiore della creazione spirituale di Codreanu dal sottofondo tradizional/religioso. Peraltro parecchio imitato.
Per non qualificare in modo aleatorio il “programma” della milizia del “capitano” è bene però elencare i capisaldi del Codreanu-pensiero: antilluminismo e ovviamente valorizzazione della tradizione insita nella cristianità, antidemocraticità come prassi e valore, infine ridimensionamento del potere economico ad attività resa per soddisfare i bisogni materiali («Nella persuasione secondo la quale all’economia non può essere attribuito il compito primario di organizzare le molteplici manifestazioni che caratterizzano l’esistenza di una comunità umana e politica, va ravvisato uno dei tratti essenziali dell’opposizione legionaria alla forma mentis delle moderne ideologie razionalistiche e illuministiche, ispirate dalla comune negazione dei principi gerarchici e religiosi compendiati nel Cristianesimo»). Un “programma” ovviamente spirituale che è facile spingere all’interno di un filone reazionario e controrivoluzionario. Piaccia o meno questo e altro ancora accadeva nell’Europa ortodossa di settant’anni fa dove Codreanu moriva, nell’autunno del 1938, durante l’ennesima carcerazione. Forse fucilato, forse già all’interno della prigione.
La battaglia del “capitano” fu principalmente identitaria, antiborghese in primo luogo – nel senso di contrasto al dominio della materia – e volta contro le forze della cosiddetta antitradizione. E fu la tipica battaglia meta-politica in nome di entità superiori che si combatté fra le due guerre. Sentiamo ancora Rizza: «La sfida apertamente lanciata dal legionarismo contro il potere delle oligarchie democratiche legate alla finanza internazionale e prevalentemente gestite da ebrei … e contro la propaganda comunista … si fondava proprio sul convincimento in base al quale solo un’azione diretta alla difesa e alla salvaguardia della specifica identità romena avrebbe potuto costituire una valida alternativa al disordine prodotto dalla sovversione plutocratica e marxista». Fu una lotta nella quale il soggetto (l’uomo) e l’oggetto delle attenzioni legionarie coincisero alla perfezione. Fu una lotta per l’uomo nuovo (o uomo differenziato, che dir si voglia), forse l’ultimo vero duello intestino dell’intera Europa se si eccettua quella guerra fredda che, “guerra” appunto, per ragioni arcinote lo fu più di forma che di sostanza. Evidentemente il nazionalismo rumeno non discendeva affatto, e l’autore ci tiene a dirlo, da una «divinizzazione o assolutizzazione di una realtà storica e umana (la nazione)» moderna, bensì dalle tradizioni religiose e civili proprie della Romania; era semplicemente a queste che il “capitano” e gli altri legionari intendevano ispirarsi quando citavano quell’uomo nuovo, “morale” di cui da più parti, in Occidente, s’andava celebrando la nascita. Siamo dunque nel pieno della “personificazione” della battaglia politica, tipicamente novecentesca. Fine della categorie (l’individuo nel suo valore numerico come, appunto, categoria vivente) e valorizzazione delle specificità e delle singolarità culturali, territoriali e spirituali di fede e tradizione religiosa. Così a trattare del razzismo (in senso lato) dell’altrettanto leggendaria Guardia di ferro il passo è breve. Rizza parla di un «pericolo» ravvisato da Codreanu, «incombente sui destini della propria terra e più vastamente una minaccia volta a distruggere i fondamenti religiosi e culturali della civiltà europea», cioè dell’ebreo; una minaccia più religiosa (quello di Codreanu fu vero e proprio antigiudaismo), che “politica”, dovuta essenzialmente «alla funzione negativa e dissolutrice che il giudaismo, inteso prevalentemente come messianismo materialistico, ha svolto in stretta concomitanza con i similari orientamenti antitradizionali della cultura moderna». Può bastare?
Pericoloso, molto pericoloso, anche se lontano dal paganesimo tedesco. Così pare.

http://www.lineaquotidiano.net/node/8452

martedì 27 ottobre 2009

Novità: LA POLITICA COLONIALE DEL REGNO D'ITALIA


Italia “potenza” imperialista in Africa. Con questo breve saggio, Marco Iacona indaga le vicende fallimentari della politica coloniale italiana nel periodo liberaldemocratico, dal 1882 al 1922, cioè dall’acquisizione della baia di Assab sulla costa meridionale del Mar Rosso (inizio di una lunga e complessa vicenda coloniale), alle origini dell’era fascista.
Le scelte e dei governi sottoposti alla guida di Francesco Crispi e di quelli presieduti da Giovanni Giolitti, nei modi, tuttavia, non si paleseranno affatto diverse rispetto alle opzioni del ventennio fascista. Uno dei giudizi finali di una vicenda che non ha mai smesso di far notizia, sarà infatti quello di un’Italia liberale che, in Africa, farà proprie le stesse opere di “convincimento” di una sorella fascista che, non troppo tardi, avrebbe occupato un posto che riteneva il “proprio”. Così gli annunci mussoliniani del 5 maggio del 1936, relativo alla cessazione della guerra d’Etiopia e quello successivo del 9 maggio, proclamazione del’impero “sui colli fatali di Roma”, non faranno altro che “consacrare” una vicenda di lacrime, sangue e sudore, di fatto lunga più di mezzo secolo.



Marco Iacona
LA POLITICA COLONIALE DEL REGNO D'ITALIA 1882-1922)
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-68-3]
Pagg. 96 - € 8,00

http://www.edizionisolfanelli.it/politicacoloniale.htm